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Cosa resterà di questi anni disinformati

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Vint Cerf, tra i padri della rete e oggi Chief Digital Evangelist a Google, ha recentemente lanciato l’allarme sulla futura leggibilità dei dati che disinvoltamente l’umanità e le macchine riversano in rete a ritmo accelerato.

Ed è sorprendente, perfino nell’era della viralità a tutti costi, la quantità di mistificazione, disinformazione e fraintendimento che è stata applicata a tutti i livelli al suo messaggio. Nell’articolo di BBC, Cerf viene correttamente accreditato di questa affermazione:

Vecchi formati di documenti o presentazioni possono non essere leggibili dalla versione più recente del software, perché la compatibilità all’indietro non è sempre garantita. Nel tempo può accadere che si accumulino vasti archivi di contenuto digitale, di cui in realtà ignoriamo il contenuto.

L’articolo è però intitolato Vint Cerf ammonisce dei possibili “secoli bui del digitale”. Frase che Cerf non pronuncia nel video. La soluzione che propone è una istantanea dell’intera catena di lettura di un file: bit del documento, applicazione, sistema operativo, hardware. Istantanea conservata nel cloud e contenente tutto il necessario per consentire la riproduzione del contenuto anche in un futuro remoto.

Il messaggio ritrasmesso in rete è stato stravolto: Huffington Post fa dire a Cerf Dietro di noi un deserto digitale, un altro Medioevo. Se tenete a una foto, stampatela. Wired titola Vint Cerf e un futuro medievale di bit putrefatti; l’autore meritoriamente accenna all’abuso ingiustificato del riferimento al Medioevo. D’altro canto tratta bit rot come una profezia apocalittica mentre è un concetto tecnico noto da tempo, che viene affrontato serenamente da qualunque amministratore di sistema. Il Secolo XIX tuona L’allarme di Google: “Stampate tutto, o perderete i ricordi”.

A proposito di Medioevo e di conservazione dei dati, i copisti amanuensi hanno salvato una quantità ingente di documenti storici attraverso la duplicazione e il trasferimento su nuovi supporti, proprio quello che si rimprovera al mondo digitale di costringere tutti a fare per essere sicuri di non perdere i preziosi dati. Preoccuparsi di come leggeremo i dati digitali odierni tra mille anni è futile per la semplice ragione che, a fine 2013, il 90 percento dei dati esistenti era stato creato dal 2011. I big data sono storicamente più embrionali delle pitture della Valle Camonica.

Ed è ora di sfatare un mito: una parte percepibile dell’informazione conservata su pietra, cera, argilla, papiro, tela, carta, pergamena, pellicola è andata perduta. Durante per esempio la seconda guerra mondiale, l’alluvione di Firenze, le distruzioni ripetute della biblioteca di Alessandria, le scorrerie dei fondamentalisti eccetera.

La cosa triste è che Cerf, nel parlare di stampa delle foto, gli dà un senso ben diverso dalla soluzione inevitabile alla catastrofe imminente tratteggiata dai media. Anche perché lo diceva contestualmente a una prolusione intitolata Pergamena digitale ed espansione di Internet nel sistema solare. Fatico a immaginare che ai prossimi astronauti chiederà di riportare sulla Terra un faldone di carta fotografica.


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